- The Museum
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- Archaeology (1-6)
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- Room 7. Paintings, frescoes and Minor Guilds from the 13th to the 15th centuries
- Room 8. The great 16th-century paintings
- Room 9. 17th-century paintings
- Room 10. The jewellery room
- Room 11. 17th- and 18th-centuries paintings and jewellery
- Rooms 12-13. The sacred vestments
- Room 14. The relics of Giuseppe Montanelli (Fucecchio, 1813-1862)
- Room 15. The Arturo Checchi collection (Fucecchio 1886 – Perugia 1971)
- Nature (16-17)
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Arturo Checchi, disegnatore, pittore, scultore e incisore, nasce a Fucecchio, il 25 settembre del 1886. La predisposizione per il disegno emerge molto presto, coltivata anche dai suggerimenti di Torello Bandinelli che, a scuola, gli mostra le riproduzioni ottocentesche di opere degli artisti rappresentativi del Rinascimento: Piero Della Francesca, Botticelli, Andrea del Castagno soprattutto, Pollaiolo, Mantegna e molti altri.
A partire dal 1905 è a Firenze, all’Accademia di Belle Arti, dove, nonostante l’iscrizione voluta dal padre al corso di Ornato e Decorazione, entra in contatto con l’arte di Giovanni Fattori, Armando Spadini e Adolfo de Carolis. E sarà proprio quest’ultimo a lanciare il giovane Arturo nel mondo delle esposizioni, in particolare delle xilografie. Altri artisti che il pittore fucecchiese avrà modo di conoscere e con i quali manifesta certe affinità stilistiche sono Giovanni Costetti, Oscar Ghiglia e Lorenzo Viani, anch’essi presenti a Firenze in quegli anni. Un breve apprendistato alla bottega di Galileo Chini lo porterà perfino a lavorare come decoratore a Venezia (Padiglione della VIII edizione della Biennale). Tra le prime esposizioni di ‘pittura’ sono dunque da segnalare le presenze alle Mostre Promotrici Fiorentine dove già si nota il tratto tipico ed originale del Checchi, una ricerca di sintesi tra l’eredità macchiaiola e la novità espressionista, quella che si potrebbe definire come la ‘macchia espressionista’. D’altronde l’artista ha modo di entrare in contatto, dopo un primo lieve approccio al simbolismo presente a Firenze con Adolf von Hildebrand, Arnold Böcklin e le opere della Villa I Tatti, con la pittura dei grandi post-impressionisti (Van Gogh, Gauguin, Cézanne) diffusi a Firenze grazie a collezionisti come Charles Loeser e Gustavo Sforni ed a varie esposizioni. E non dobbiamo dimenticare un suo viaggio in Germania tra il 1911 ed il 1913, dove senz’ombra di dubbio Checchi volse lo sguardo agli Espressionisti, irrompenti nel mondo artistico proprio in quegli anni. Successivamente arrivano le partecipazioni alle grandi mostre: la presenza alle Secessioni Romane del ’14 e del ’15; quella alle Biennali di Venezia, con continuità dal 1926 al 1942; alla Quadriennale Romana, dal 1939 al 1960 per non contare le numerosissime personali e in generale, le varie partecipazioni a esposizioni in Italia e all’estero, sia con la pittura che con la grafica. Non mancano infatti, a tal riguardo alcune opere realizzate attraverso l’utilizzo di tecniche quali l’acquaforte, la litografia, il disegno soprattutto, oltre ad alcune rare interessanti sculture. Un anno che segna un mutamento per l’artista è senza dubbio il 1925 quando ottiene la cattedra di pittura all’Accademia di Belle Arti di Perugia, grazie all’opera “San Sebastiano”. Perugia diverrà la sua città d’adozione e proprio qui incontrerà Zena Checchi Fettucciari (anch’essa pittrice), allieva, modella e quindi moglie e compagna di tutta una vita. Per un breve arco di tempo (1939-1942) Arturo Checchi è a Milano, ad insegnare a Brera. Quindi il ritorno, la prosecuzione di una elevata attività espositiva, e la nomina alla cattedra di disegno all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove insegnerà dal 1949 al 1961. Dal punto di vista artistico, se l’infanzia e la giovinezza erano state dedicate alla sua Fucecchio, gli ultimi anni l’artista li dedica a ritrarre i soggetti più amati della sua maturità: Perugia e i suoi dintorni; i ritratti di allievi e modelle, soprattutto quelli di amici e familiari; le ‘marine’ rievocanti le scene estive di Ischia e della Versilia; le ‘finestre’, ove trionfa l’attenzione per la distribuzione del colore e i giochi di luce; gli animali, immancabili; i tramonti, preludio alla fine di una vita e di una carriera lunghe, prolifiche, spese ambedue al servizio dell’arte. Arturo Checchi lascia Zena, Perugia, Fucecchio, i suoi mondi, il 24 dicembre 1971, creando notevole vuoto; ma lascia anche a tutti noi il suo spirito e la sua visione delle cose; e questo grazie alle sue opere d’arte, preziose testimonianze immortali di un’epoca, e di quello che essa poteva narrare. Il tutto si può senza dubbio riunire nella già conclamata ‘eterna giovinezza’ di Arturo Checchi: testimoni ne sono il segno, ed il colore, che, con attenzione e rara sapienza, l’artista riesce sempre a condensare in un ammirevole equilibrio, mai scontato né monotono. Certo, non si può negare una evidente fecondità creativa, quando ci riferiamo in particolare alla sua prima produzione; ma se osserviamo con attenzione anche le opere successive, si può notare come la forza espressiva del pittore fucecchiese non venga mai a mancare, come anche alla fine, egli abbia voluto comunicare con i suoi fedelissimi mezzi: matita e pennello, ricchi di forza, di colore, di solidità, ma, soprattutto, di entusiasmo.
Giovanni Malvolti